Scrive Luciano Vanni (Jazzit, giugno 2020)

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Scrive Guido Festinese (ALIAS - Il manifesto, sabato 31 agosto 2019) :
" Ci sono musiche che proprio non riescono a coabitare con le categorie dell'ovvio e del prevedibile. Sono custodite come piccoli tesori da chi chiede molto alle note, e molto riceve in cambio. Gemmo, pianista veronese e compositrice, non ha mai scritto né improvvisato musiche ovvie. Le dieci campiture per pianoforte solo in improvvisazione di Ad libitum propongono silenzi vertiginosi e dissonanze, epifaniche aperture liriche e schegge ulcerate di ricordi classici.

In concentrazione assoluta."

 

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Sarebbe facile definire neo-impressionista la musica di Francesca Gemmo, sola al pianoforte in questo Ad libitum (Dodicilune). Sperimentatrice nel circolo milanese di cui fa parte il vibrafonista e percussionista Sergio Armaroli e a cui si uniscono spesso altri saperimentatori come Giancarlo Schiaffini o Alvin Curran, è nei 10 brani registrati in una sola seduta un po’ meno sperimentale nel senso solito del rifiuto delle trame cantabili e della forma chiusa, ma lo è altrettanto per un uso assai esteso e imprevedibile delle pause e per una forte spregiudicatezza nel provare materiali di varia natura. Il clima è di divagazione assorta/sognante/narrativa. Clima che, appunto, fa pensare all’impressionismo. In realtà si tratta di una escursione tra i possibili territori (illimitati) della contemporaneità ed è lì che si incontra la melodia cantabile come il secco rumorismo.

Mario Gamba

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 Scrive Paolo Carradori (Alphabeta2, 30 giugno 2019):

"Dopo il piacevole ascolto di questo lavoro in piano solo di Francesca Gemmo i tanti rivoli, i molti stimoli catturati non possono che rimandare a riflessioni sul pianoforte del Novecento, all’improvvisazione, al ruolo del silenzio, al tocco e al suono. Un pianismo problematico il suo, che in una spiccata introspezione, ma anche esposizione di intimità, apre molte strade e le incrocia. Già nei quattro movimenti di “Sipari” tutto è chiaro. Dai piani sospesi e trasparenti agli spigoli duri, dai clusters che vibrano all’infinito ai fascinosi colpi stoppati tra i silenzi di “sipari2”. Senza cadere in sterili schematismi incontriamo i fantasmi di Satie, l’improvvisazione come composizione istantanea ma libera da ogni inquinante soggettività (uno dei capisaldi della lezione cageana), qualche reminiscenza del Cowell dei primi del Novecento (il padre di tutti), ma anche, forse inconsapevoli, richiami all’ avanguardia afroamericana, all’astrattismo danzante di Cecil Taylor. A proposito di danze il breve “Promenade” sviluppa un quieto descrittivismo mai stucchevole, analitico e un po' distaccato. “Discontinuum” è scolpito su note quasi dissonanti che si scontrano e accumulano tensioni che rimangono irrisolte in un finale fin troppo strutturato. Con “In Fine” la Gemmo gioca pericolosamente con la melodia in soluzioni poetiche dal sapore jarrettiano. Ad Libitum è un lavoro dove emerge la capacità della pianista di convogliare memorie, stili, estetiche evitando di piombare nei rischi di enciclopedismo, anzi riuscendo a sviluppare, dilatare, arricchire tutti i materiai improvvisativi messi in gioco in una ampia e libera visione culturale.

 

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Scrive Aldo Del Noce (Jazz Convention, 5 giugno 2019):
"Già operosamente notata in quartetto con un lavoro dedicatario a Luc Ferrari (Exercises d'Improvisation), e più recentemente arruolata in un ensemble ulteriormente allargato per la regia di Elliott Sharp (Syzygy), la pianista Francesca Gemmo devolve un nuovo saggio delle proprie attenzioni verso l'espressione di frontiera investendo, in termini magari più congeniali, su un'articolata esperienza in solo, «dialogando con e dentro il pianoforte».

Dieci le misure lungo cui si articola il presente Ad Libitum, avviando il corso espressivo entro quattro sezioni (Sipari) cui soltanto una lettura superficiale potrà conferire carattere "accademico", stante l'immediatamente espressa tempra esplorativa, pur ricadente entro cornici prefissate rispetto alla unica session di registrazione, diversamente dai successivi momenti, graziati da una concezione "ad libitum", e dall'andamento strutturalmente più libero e diversamente privato.
Tale dunque il diagonale ed avventuroso Monocromo, l'impressionismo chiaroscurale in Promenade, i segni evocativi e gli spazi mnestici della brumosa Fall-Winter, le destrutturazioni fluenti in Novella, la strutturata quanto ondivaga dimensione del gioco in Discontinuum, fino all'intenso ed ondoso dinamismo della scultorea e suggestiva In Fine.
Dell'elettivo strumento si percepisce una più che stratificata formazione classica, eminentemente orientata al sentire post-moderno, ma esiterebbe alquanto trito (ed in parte superato) il riferimento per analogia ai revisori del pianoforte all'alba del XX secolo, Satie in testa (comunque storicamente pertinente e dovuto), ma certamente inadeguato il paragone con i contemporanei alfieri del minimalismo meno strutturato e più di consumo (un Ludovico Einaudi accetti di pagare dazio per tutti): pianista visionaria che del pensiero cageano sembra aver tratto una lezione propria, ad esempio gestendo con personalità la dimensione caotica, certo tesaurizzando (anche) quanto maturato durante le esperienze di formazione (con i valori aggiunti delle partnership di caratura, tra cui Alvin Curran, Giancarlo Schiaffini, o appunto Elliott Sharp), Gemmo si palesa auto-interprete di sensibile efficacia dal cui pianismo emergono sensibilità e nitore quali più caratteristici tratti, oltre all'elevato grado di ponderazione nell'economia delle dinamiche e nell'orientamento degli equilibri.

Una personale progressione fraseologica affrancata dalle appartenenze di "genere", foriera comunque di tratti che non risulterebbero estranei alle logiche espressive del piano-solo entro certe fasce jazz, ma che la rendono con più probabilità cittadina di un trasversale e assai transitato mondo definibile con la comoda (quanto anodina) dicitura "free-style" , non è che una tra le componenti di una musicalità animata e dialettica, in cui si percepisce il carattere del dialogo con un'interiorità collettiva quanto con una dimensione "altra"; Ad Libitum si palesa insomma lavoro efficace e sostanzialmente scevro da agnosticismi ispirativi, che segna un punto alquanto fermo non soltanto nell'ulteriormente blasonata sezione "contemporanea" della label salentina, quanto e soprattutto entro il nostro più contributivo parterre

solistico."

 

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Scrive Fabrizio Zampighi (Sentireascoltare, aprile 2019):

"In un periodo storico in cui il suono pianistico che va per la maggiore è una neo-classica con un fortissimo debito verso Satie e scarsissima fantasia, ascoltare un disco come Ad Libitum di Francesca Gemmo è una boccata d’aria fresca: una contemporanea che non teme il silenzio o le dissonanze, l’approccio fisico come la dinamica. I dieci brani in piano solo del disco nascono da improvvisazioni realizzate in un mattino d’estate durante un’unica seduta di registrazione: «Le prime quattro (Sipari) si sviluppano lungo un arco formale precedentemente pianificato, mentre tutte le altre sono nate ad libitum, dialogando con e dentro il pianoforte», racconta la musicista".